Libertà d'insegnamento: abuso o diritto costituzionale
O la libertà d'insegnamento è un abuso deprecabile da abolire o è un diritto costituzionale riconosciuto da rendere praticabile

Di don Mino Grampa*



L'anno scolastico che si è concluso ha rappresentato un momento importante per le scuole private del Cantone, perché ha visto coronato di largo, lusinghiero successo l'iniziativa popolare che chiede un sussidio dello Stato per le famiglie, che in base all'art. 4 della Costituzione cantonale, scelgono una scuola privata. Non si comprende perché tale iniziativa abbia provocato una preoccupata, dura reazione da parte di un comitato a difesa della scuola pubblica. Nessuno intende contrastare la scuola pubblica, né insidiarla, né tantomeno indebolirla.

Chiedendo di vedere riconosciuto con un contributo il sacrificio che molte famiglie sostengono scegliendo una scuola privata si intende rendere praticabile un diritto costituzionale, si chiede di aiutare a non scomparire un servizio che, benchè gestito da privati o da enti pubblici diversi dallo Stato, rende comunque un servizio pubblico che completa quello reso dallo Stato. Lo completa per i servizi diversi che può rendere: tempo pieno, studio assistito, mensa, internato.

Lo completa per il diverso profilo pedagogico che le scuole private presentano indicando un'opzione educativa chiara e definita, che trova la fiducia di molte famiglie. Lo completa per le forme nuove di coinvolgimento dei genitori nella gestione della scuola e col volontariato che promuove animando l'intero corpo sociale. O la libertà di insegnamento è un abuso deprecabile da abolire o è un diritto costituzionale riconosciuto da rendere praticabile, perché non sia un puro "flatus vocis". Lo Stato ha tutti i mezzi per evitare lo sgretolamento del sistema scolastico pubblico, vagliando le scuole che offrono garanzie di serietà, di integrazione e complementarietà e quindi possono entrare in un sistema convenzionato che unisca il pubblico al privato.

Non è mancato chi ha proposto addirittura di abolire l'art. 4 della Costituzione, cioè il diritto alla libertà di insegnamento, pensando che i problemi si risolvano negandoli invece di affrontarli.

È un segno eloquente di certa mentalità intransigente e lesiva di diritti che nessuno stato democratico penserebbe di misconoscere o cancellare oggi.

La libertà di scelta del sistema scolastico è una conquista discriminante tra uno stato liberale e democratico e uno stato autoritario e dittatoriale. Chiedere di rendere praticabile questo diritto non deve fare paura a nessuno, che abbia a cuore le sorti civili e democratiche del nostro convivere sociale.

Riconoscere il risparmio che le scuole private fanno fare allo Stato per i servizi che rendono nell'interesse generale è aprire gli occhi di fronte all'evidenza.

Tutte le grandi democrazie occidentali conoscono un sistema integrato tra scuole statali e scuole non statali senza che le une abbiamo fagocitato o fatto scomparire le altre. Un sistema integrato con la vigilanza attiva ed oculata dello Stato risponde meglio alle caratteristiche pluralistiche della società post moderna.

Non è corretto nemmeno fare il processo alle intenzioni e pensare che una scuola privata, che scuola voglia restare e non diventare impresa commerciale, non debba rispettare quelle regole di deontologia morale che esigono il rispetto di ogni persona; l'accoglienza non settaria di chiunque condivida un determinato progetto educativo proposto, gli obblighi reciproci che regolano il rapporto tra persone libere in uno stato di diritto.

Quello delle scuole private non può essere il regno dell'arbitrario, del selvaggio o del profitto. E lo Stato deve vigilare perché i soldi di tutti non vadano solo a beneficio di alcuni.

Far maturare questa nuova mentalità di convivenza civile, non discriminatoria e non arbitraria è il compito che ci aspetta.

Vincere i pregiudizi, superare le paure ingiustificate, trovare le strade per un regime scolastico convenzionato tra pubblico e privato, nel quale lo Stato non resta solo dispensatore di sussidi, ma esercita un ruolo attivo di promozione, di esperienze diversificate e complementari è il traguardo che ci attende.

Lo vedo in parte concretamente realizzato nella scuola di cui sono responsabile, il Collegio Papio di Ascona.

Nella nostra scuola media abbiamo potuto attivare un'esperienza, particolare, con tre punti qulificanti:
- Un diverso insegnamento delle lingue con l'introduzione del tedesco già in prima media e dell'inglese in seconda media.
- Un insegnamento "immersivo" del francese, offrendo in questa lingua i corsi di geografia e di economia familiare in terza e quarta media.
- Una diversa distribuzione delle ore delle scienze umane, comprensive di religione, storia e geografia, apparentemente ridotte nel primo biennio, ma potenziate in quarta media.

Quanto al liceo, il nostro cammino non si sovrappone a quello dei licei cantonali, perché noi prepariamo al diploma federale di maturità, che conosce programmi, articolazione di esami e metodologie di insegnamento proprie.

Non siamo un doppione, né vogliamo rappresentare una concorrenza, ma offrire un'alternativa che conosce la vigilanza dello Stato e rende ragione del suo operato attraverso gli esami sostenuti di fronte a commissioni pubbliche.

Il Papio non rappresenta forse un arricchimento nel sistema scolastico cantonale? Ed altre scuole, penso a Villa Erica, con la sua apprezzata scuola di lingue e commercio e con la sua maturità commerciale e professionale, col suo internato ed il suo sperimentato insegnamento immersivo delle lingue, offre pure una valida integrazione (anche se solo settoriale perché è scuola solo femminile) alle scuole pubbliche dello stesso tipo. Ma anche altre scuole private possono contribuire a completare il vasto e variegato panorama dell'istruzione pubblica.

Quando cadranno allora preclusioni e pregiudizi che non si giustificano più?



* Direttore del Collegio Papio di Ascona